Noto molto spesso nei miei pazienti una tendenza a distinguere nettamente la sfera emotiva da quella razionale. Avranno ragione?
Se siamo tra i pochi animali ad essere dotati di coscienza e ragione, non possiamo però negare di avere in noi anche una dimensione emotiva. Ai neurologi piace dire che la ragione sta nella corteccia cerebrale, e le emozioni nel sistema limbico (una parte più “antica e primitiva” del cervello); sebbene pure le scimmie possano imparare a scrivere e contare, noi umani amiamo gongolarci nella convinzione che la ragione, la razionalità, l'intelletto siano un bene supremo ed esclusivo della nostra specie. Vero, senza intelletto non avremmo mai potuto inventare lo schermo su cui ora state leggendo, ma le emozioni? Dove le mettiamo? “Roba da femmine”, dice un mio paziente, un ragazzo di 20 anni. “Mio marito proprio non la usa, la testa” ribatte una donna sui 40. La nostra società ci insegna che le emozioni sono un optional, un accessorio di lusso, qualcosa che possiamo proiettare fuori, il lato oscuro dell'intelligenza. E invece le emozioni erano già lì, diecimila anni prima di Cicerone, di Diderot e di Stephen Hawking. C'è chi fa il guru, ripudiando diecimila anni di sviluppo umano, e chi nasconde sotto la camicia un ribollire di gelosia, rabbia, noia, amore. Dovremmo smetterla di vivere in questa paranoica convinzione che ragione e sentimento siano due mondi inconciliabili: l'affettuoso calore di un abbraccio può rilassare la tensione di 8 ore trascorse in ufficio, e una ponderata riflessione può suggerire la soluzione ad un dramma apparentemente catastrofico. Saremo sempre, come singoli individui, più propensi al sentimento o alla razionalità, ma non dobbiamo dimenticare che siamo fatti tanto di spirito quanto di carne, tanto di pensieri quanto di emozioni, e che per stare bene, in primo luogo con noi stessi, dobbiamo accettare entrambe le nostre metà. Questo è quasi sempre il punto di partenza con i miei pazienti, perché se le due parti non collaborano non si va da nessuna parte.