Tempo fa, un docente della scuola di specializzazione mi disse che non ci sono abbastanza psicoanalisti per tutti i pazienti che ne avrebbero bisogno.
A ben pensarci, è un problema non da poco. Se il nostro sistema sanitario dovrebbe essere in grado (almeno sulla carta) di accogliere tutti gli utenti con un disturbo psichico, noi psicoanalisti siamo davvero pochi, troppo pochi per offrire la nostra assistenza a tutti i “malati di nervi”. Questo perché il percorso per diventare psicoanalista è lungo e periglioso, e in una certa misura anche selettivo. Eppure, nei nostri simposi scientifici noi psicoanalisti fantastichiamo sempre su quanto sarebbe bello migliorare il mondo grazie al nostro sapere. Dobbiamo dunque rinunciare alla nobile impresa? No, non del tutto. Se da un lato è inverosimile sperare di poter psicoanalizzare tutti quanti, è anche vero che la maturazione individuale di un singolo paziente porterà degli effetti benefici anche sul suo ambiente. Un genitore più consapevole dei propri limiti e delle proprie qualità crescerà dei figli probabilmente più sani; un datore di lavoro più responsabile saprà incoraggiare un maggior benessere psicofisico nei propri dipendenti; così un figlio o un impiegato potranno fare lo stesso, “contagiando” chi gli sta vicino con il proprio benessere. Erich Neumann scriveva che l'eroe “non intende cambiare il mondo affrontando la realtà interna o esterna, ma tende a una trasformazione della personalità. Il vero obiettivo dell'eroe è di modificare sé stesso, e l'effetto liberatore che ciò ha sul mondo è solo un effetto secondario della propria trasformazione”. Da questo punto di vista, ogni paziente è un potenziale eroe, che migliorando sé stesso riverbera questa trasformazione sul proprio ambiente circostante.