Tutti noi l'abbiamo sperimentata. Un'interminabile lezione di latino, l'attesa di un treno in crescente ritardo, un film dalla narrazione piatta... considerata in queste circostanze, la noia non è propriamente un sintomo, bensì un meccanismo di difesa, un istinto che ci comunica che stiamo sostanzialmente perdendo tempo. Ma la noia può anche nascondere qualcosa di più grave: c'è chi si annoia stando in compagnia del proprio partner, oppure durante una festa dove tutti gli altri si divertono. In questi casi, dove non c'è un collegamento diretto con le circostanze (per non dire che queste sono del tutto opposte), la noia può essere un sintomo: spesso si tratta di un blocco emotivo, come una barriera interna che ci impedisce di godere di ciò che sta accadendo nel mondo esterno. Altre volte è il nostro modo di rapportarci con quella specifica circostanza ad essere difettoso. Come tutti i sintomi, la noia ci avvisa che qualcosa in noi non sta funzionando, ma per nostra sfortuna non ci dice chiaramente cosa.
Fin qui, abbiamo parlato della noia dell'adulto, la noia come fenomeno depressivo. Ma la noia è anche qualcosa d'altro, può esserlo soprattutto nel bambino. La noia è rumore bianco, un indifferenziato che, con i giusti stimoli, offre lo spazio totipotente e illimitato della creatività. Ciò è particolarmente vero nei bambini: dice Galimberti, addirittura, che i bambini devono annoiarsi, pena altrimenti un eterno subire il mondo esterno, senza mai farlo proprio.
Il tema della noia è ben più complesso di una banale definizione linguistica. Ho qui cercato, in brevissime parole, di gettare uno sguardo ai due estremi di questa condizione. Ed oggi, richiusi nelle nostre abitazioni a causa del coronavirus, dobbiamo fare nostra la noia e prenderla come un'occasione assai preziosa per ascoltare ciò che ha da dirci questo nostro rumore bianco.