È ancora vivido in tutti noi il ricordo del primo lock-down, agli inizi di marzo di quest’anno. Da quel giorno le nostre vite sono cambiate, e così anche il mio spazio si era ridotto all’osso, da un lato per un aumento delle richieste di supporto psicologico, dall’altra per il mio arruolamento nelle Unità Speciali di Continuità Assistenziale (USCA). Quel poco tempo che riuscivo a dedicare all’attività divulgativa era indirizzato unicamente alla mia “guida per sopravvivere alla quarantena”, ora soppiantata dalla ben più autorevole pagina Facebook Pillole di Ottimismo, che vi consiglio di seguire.
Oggi, alle porte dell’inverno, siamo nel pieno della “seconda ondata” di COVID-19. Ciò significa che la situazione lavorativa per me è invariata, se non addirittura peggiorata in termini di impegno; d’altro canto, nel corso dell’estate ho accumulato davvero tanto materiale (e altrettante idee) che vorrei condividere, per ritornare gradualmente a parlare di psicologia e meno di epidemiologia.
Riapro dunque le mie pubblicazioni con un nuovo articolo su Halloween: chi mi conosce più da vicino sa che è una delle mie ricorrenze preferite, perché sotto la facciata commerciale resta un’occasione di introversione, un “rito di passaggio” dall’estate all’autunno. Proprio in virtù dell’introversione e della riflessione, oggi voglio parlare di un simbolo che mi è ugualmente caro, quello della strega; non tanto della vecchia megera che cavalca una scopa, ma della strega come immagine arcaica della donna in contatto con la natura, collegata alla dea Artemide. Nella coscienza collettiva, la strega rappresenta la proiezione di tutto ciò che della complessità femminile noi non comprendiamo – e dunque temiamo; se questa proiezione nasce principalmente dall’uomo, lo stigma della strega è stato tanto martellante nella nostra cultura da essere interiorizzato anche dalle stesse donne. Vedo ogni giorno, nelle mie pazienti, questa vera e propria scissione tra l’idea di donna pura e angelica e la femmina sensuale e potente, due realtà inconciliabili solo in apparenza.
Il tema della strega è tanto affascinante quanto complesso. Così, per meglio comprenderlo io stesso, ma anche per rendere più vivace e interessante la divulgazione, ho deciso di intervistare una ragazza che definisce sé stessa una “strega”, almeno in senso psicologico.
Claudia è una studentessa universitaria, ma da circa cinque anni lavora come modella e fotografa, in particolare nella fotografia di nudo. È un ambito, quello della nude fine art, che ancora oggi suscita incredibili controversie nella sensibilità collettiva, in particolare quando i soggetti ritratti sono corpi femminili. Non si tratta certo di pornografia, anzi è forse quanto di più lontano possa esistere da essa, eppure sento ancora molti chiamare allo scandalo quando si imbattono in questo tipo di arte.
Procediamo però con ordine. Claudia, con immeritata modestia, non si definisce una professionista del settore: «è una cosa che faccio per passione», mi spiega all’inizio dell’intervista; in verità, le sue foto sono state pubblicate su riviste del calibro di Playboy e GQ, ha un profilo su Patreon, e il suo canale Instagram conta ad oggi 65 mila follower. Tuttavia, aggiunge Claudia, «non considero la carriera del modeling la mia carriera di vita, ma soltanto un’esperienza temporanea».
Quando e perché hai deciso di iniziare a posare nel modeling, in particolare nel nudo?
Ho iniziato a posare nel 2015, a seguito di alcuni cambiamenti importanti nella vita della mia famiglia: mio padre si è trasferito in Sud America, io avevo appena finito di studiare alle superiori. Avevo già deciso di non iniziare subito l’università, perché avevo bisogno di pensare, e avevo intenzione di trovare un lavoro. Inoltre, è stato l’anno in cui ho iniziato a vivere da sola. Ero molto predisposta a trovare nuove strade nella mia vita. Ho ricevuto delle proposte da parte di qualche fotografo abbastanza famoso al tempo, e ho iniziato. Ho iniziato per curiosità, e ho continuato perché mi dava molte soddisfazioni a livello umano, ma anche perché mi aiutava a mantenermi, a crearmi una certa indipendenza. Adesso lo faccio soprattutto perché si è sviluppata in me una certa passione per tutto quello che è la rappresentazione fotografica, e l’espressione di me attraverso il mio corpo. Comunque, ho iniziato subito a fare nudo.
C’è una ragione precisa per cui hai cominciato anche con il nudo?
In quel periodo mi frequentavo con un ragazzo che aveva già posato per il nudo, e forse questo un po’ mi ha influenzato, mi ha tolto qualche inibizione e qualche paura. In ogni caso, ho sempre avuto un rapporto abbastanza sereno con il mio corpo, con la mia fisicità, con l’espressione del mio erotismo. Non ho mai avuto grandi problemi ad espormi da quel punto di vista, e per me è stato davvero molto facile il primo set. Forse anche perché poteva essere un’occasione per avere più gli occhi su di me: avevo 19 anni, cercavo la mia indipendenza, ero pronta a tutto, ero piena di energie, mi sentivo sicura di me. Questa era anche un modo per nutrire un po’ il mio Ego, se si può dire così. Si sta parlando, comunque, di un contesto in cui il mondo social era già molto importante, e gli adolescenti e i ragazzi cercavano in tutti i modi di attirare l’attenzione a livello di immagine.
La fotografia, il modeling e la fotografia di nudo sono un tipo di espressione artistica. Secondo te c’è una tematica preponderante che si vuole esprimere in questo tipo di arte, soprattutto da parte della modella?
Nel contesto della fotografia di nudo italiano credo che la tematica principale sia l’erotismo, cioè l’espressione dell’erotismo. Non necessariamente quello della modella nello specifico: magari la modella si presta a rappresentare un erotismo che non è suo, ma che è più in linea con il progetto del fotografo. Sicuramente, quando si tratta di nudo, l’associazione prima e più rapida è proprio quella dell’erotismo.
È molto interessante quello che hai detto: non è un erotismo circoscritto al corpo della modella, ma la modella diventa più uno strumento artistico per un concetto più simbolico, più generale.
Se si tratta di fotografia artistica, è più una musa che una modella. C’è la propria immagine, c’è il proprio corpo – nudo o non nudo –, c’è la sua espressività. Ma si presta a un progetto, si presta a rappresentare dei concetti che possono non essere suoi. Però non è così comune: se prendiamo la fotografia di nudo che si vede sui social, ad esempio, questa è principalmente estetica, è rappresentazione della bellezza della persona ritratta. Che sia erotismo, o che sia un qualcosa considerato “più puro”, di solito ci si ferma comunque alla rappresentazione del soggetto. È più raro che il soggetto si presti a rappresentare altro, perché è più difficile: a quel punto ci si avvicina molto all’arte dell’attore, che è più complicata.
Possiamo distinguere due filoni principali: uno più artistico dal punto di vista del fotografo, che è quello appunto in cui la modella diventa una musa, e quello invece che va più sui social, possiamo dire “commerciale”, o comunque incentrato sull’immagine del soggetto.
Sì, certo. La fotografia può essere pura estetica, o può essere concettuale – non soltanto nel contesto del nudo. Ovviamente il canale social è molto importante in questo periodo storico, perché l’artista non crea soltanto per sé stesso: deve adattare quello che crea ai canali in cui lo distribuirà, e i canali social sono dei canali aperti a tutti, aperti anche a chi non ha un linguaggio per comprendere l’arte. Di conseguenza l’arte si fa più semplice, forse meno profonda, più esplicita.
Nelle tue foto cerchi di raccontare qualcosa, sia come modella che come fotografa? Ti capita cioè di allegare una didascalia o una narrazione alle tue foto?
Normalmente no. Non spiego le fotografie, perché credo che, essendo la fotografia un linguaggio, non abbia bisogno di essere affiancata da un altro linguaggio per essere compresa. Capita che, per puro piacere personale, io parli di come ho realizzato le foto a chi mi segue, a chi mi supporta, ma la fotografia non ha bisogno di essere spiegata. Per quanto riguarda l’esprimere, sì, io cerco sempre di esprimere qualcosa. Non ho sempre ben chiaro che cosa sto esprimendo nel momento in cui io poso, o faccio la foto, o creo un autoritratto. Diciamo che la mia libertà creativa mi permette di produrre tutto al momento, di lasciare che un flusso di emozioni o di sensazioni crei la sostanza della foto.
Hai qualche riferimento, qualche modello a cui ti ispiri per il tuo lavoro?
Sì, ogni cosa. Tutto quello che vedo per me può essere d’ispirazione: la fotografia si crea con la luce, con le ombre e con i colori; di conseguenza, ogni cosa che io posso vedere. Tutto può essere di ispirazione per creare una fotografia, ma la maggior parte delle fotografie che creo partono dall’ispirazione del luogo in cui mi trovo in quel momento. Cerco di osservarlo e di capirlo, di interpretare la luce in qualche modo. E poi c’è una grande osservazione di me stessa. Bisogna molto interrogarsi su quello che si vuole esprimere. Quando si tratta di essere nudi di fronte a una fotocamera, di fronte potenzialmente al mondo intero, bisogna capire più o meno chi si è. E non è facile: ogni volta bisogna rifare tutto daccapo. Quando si tratta di posare nudi non ci sono filtri, non ci si può nascondere da nessuna parte, quindi io ci tengo molto ad essere sincera. Qualsiasi cosa cerchi di trasmettere dev’essere mia, dev’essere sincera, autentica. C’è molto da osservare, c’è molto da trarre ispirazione anche dentro di sé. Tutto quello che implica una certa relazione con l’esterno dovrebbe richiedere una relazione con l’interno. La fotografia io non la faccio per me stessa: la faccio per mostrarla. Non sono quel tipo di persona che crede che l’arte serva soltanto per sfogo personale. Io so già che, quando poso, quello che ne verrà fuori non resterà dentro casa mia, o dentro di me. Uscirà e darà qualcosa agli altri. La maggior parte delle volte è difficile trasformare in pixel quello che si pensa, però almeno cerco di essere autentica.
Da quando hai iniziato a posare come modella di nudo, è cambiato il rapporto con il tuo corpo? E se sì, come?
Io penso che questa sia la domanda più complessa che potessi farmi! In tutti questi anni il rapporto con il mio corpo è cambiato a prescindere dalla fotografia, perché da essere un’adolescente sono diventata una giovane donna, da non avere un rapporto stabile con un uomo, poco dopo aver iniziato a posare ho anche iniziato una relazione. Posare nuda è solo una delle cose che hanno contribuito a cambiare il mio rapporto con me stessa. Se vogliamo prendere nello specifico l’esperienza fotografica, quando ho iniziato a posare nuda, quando ho iniziato ad ottenere consenso dalle foto che venivano pubblicate di me (consenso soprattutto relativo alla mia estetica, siamo chiari!), ovviamente mi sentivo più a mio agio con me stessa, iniziavo ad avere più soddisfazione nel mostrarmi. Però questa è una cosa che è svanita in fretta, quando ho capito che in realtà ci sono dei rapporti sociali, che si intraprendono nell’ambito fotografico, che tendono a portare le modelle a vedere il proprio corpo come una merce: una cosa che va venduta, una cosa che deve essere sempre perfetta, lucidata, che deve seguire degli standard, deve rispondere a delle esigenze, come un prodotto. Di conseguenza, quella che prima era sicurezza in me è poi diventata una profonda insicurezza che prima non avevo. Inizi a chiederti come far sparire la cellulite, come dimagrire, soprattutto perché sul set è capitato che mi facessero notare i miei difetti. Io non sono esattamente una modella con misure standard, né nell’ambito del nudo né nell’ambito di tutto quello che è la fotografia. Alla fine, mi sono sempre sentita a disagio per qualche motivo, però tutto questo passa quando scegli di fare fotografia per passione, e scegli che il parere degli altri non è importante. Il percorso per l’accettazione di sé è lungo e difficile, e io sicuramente non sono arrivata alla fine. Però l’iniziare a fare autoritratti mi ha aiutato moltissimo ad accettarmi, a capire il mio corpo per com’è. C’è un lungo lavoro da fare anche nel capire perché si fanno certi movimenti, cosa si esprime con questi movimenti. Le pieghe del proprio corpo: perché sono lì? Cosa significano per me? Fa tutto parte del delineare un modo di voler essere di fronte agli altri. Io ho i brufoli, ho la cellulite, ho le smagliature, non sono magra a stecchetto, non sono atletica, non sono alta. Voglio essere così, voglio essere apprezzata per come sono. Voglio continuare a vedere le mie fotografie modificate, affinché il mio fisico e la mia estetica rientrino negli standard socialmente accettati? Oppure no? Questa è una scelta che non tutte le modelle fanno, perché fare questa scelta a volte può portare a uscire totalmente da questi standard, e quindi a lavorare di meno.
Quanto conta la bellezza specifica della modella? Il bello del nudo risiede nel nudo in sé, o nella nell’aspetto della modella?
Se vogliamo un “nudo bello” va preso un “corpo nudo” considerato “bello”. Però, se dobbiamo parlare della fotografia di nudo in un contesto più artistico, questi limiti possono essere meno importanti: si tratta comunque di espressività. Mi viene da fare questa associazione con gli attori: quante volte si dice di un attore che non sia particolarmente bello, ma che renda tantissimo a livello di pratica attoriale? La fotografia non è così diversa. Di conseguenza, bisogna capire se si sta parlando di un contesto artistico o di un contesto più social, più terra-terra. Tutto dipende dalle motivazioni che ti spingono a farti fotografare.
Quanto l’erotismo rientra nel tuo lavoro?
L’erotismo è importante nella misura in cui rientra nel progetto. Se il progetto richiede che io esprima il mio erotismo, è importante. Se non lo richiede, è importante lo stesso! Mi spiego: io sono un essere umano con un’identità erotica, e non posso prescindere dalla mia identità erotica, e forse non voglio neanche farlo, e in momenti in cui ci si mette letteralmente a nudo si può prescindere ancora meno da alcune parti di sé. Quando io esprimo me stessa esprimo tutto di me, a meno che non mi sia richiesto di celare alcune cose. Il mio erotismo fa parte di me, fa parte del mio modo di rappresentarmi. Non ho mai cercato di nasconderlo, perché lo considerò un po’ una censura di me stessa. Io credo che l’erotismo sia una fetta molto grossa di quello che l’essere umano è, soprattutto a livello sociale: tutto quello che noi manifestiamo a livello sociale, tutto quello che esprimiamo, ha moltissimo a che fare con il nostro erotismo.
Freud direbbe che tutte le attività umane, anche le più elevate, sono di fatto una sublimazione, un’elaborazione dell’istinto erotico.
Infatti, non è una cosa che si può togliere o mettere: si vede! Nella fotografia di nudo però è raro cercare di censurare l’erotismo, proprio perché c’è un legame diretto tra la visione del corpo nudo e il pensiero erotico.
C’è differenza tra fotografia di nudo nell’uomo e nella donna? Se sì, quale?
La differenza è che il nudo maschile è molto meno comune, meno accettato di quello femminile. Per il resto non trovo nessuna differenza, perché si tratta comunque di un nudo, e di persone.
Secondo te come mai? Perché “meno comune”, e soprattutto “meno accettato”?
È meno comune perché in società l’uomo non è quasi mai tenuto a lavorare sulla propria immagine per rappresentarsi, per avere un ruolo, per avere approvazione. Di conseguenza, forse viene anche meno naturale farsi fotografare in generale, se si è un uomo. Si sente meno l’esigenza di attirare un’attenzione partendo dalla propria estetica. Forse anche perché il corpo della donna è di per sé già mercificato. Il discorso è complesso: il corpo della donna è quello che cerchiamo di nascondere di più, ma è quello che dobbiamo assolutamente mostrare, sempre. Una donna non ha un ruolo in società se in qualche modo non si mostra, e allo stesso tempo non deve mostrarsi troppo. Sono tutte queste strane contraddizioni, che hanno radici abbastanza antiche nella nostra società, che ci definiscono tantissimo. Per esempio, attribuire la vanità alle donne: credo che anche questa sia una finzione, una cosa che ci raccontiamo. Non credo che le donne siano più vanitose dell’uomo di per sé: credo invece che siano istruite ad esserlo. Di conseguenza più soggette, più propense a mettersi in mostra in qualche modo.
I capezzoli maschili si possono mostrare, quelli femminili invece vanno censurati nella maniera più bigotta possibile, a meno che non si tratti di pornografia, o quasi.
Il seno è lì per un motivo, cresce per un motivo. È un carattere sessuale, sì, ma è parte del nostro corpo, e noi non possiamo prescindere da questo a livello biologico. Eppure, sin dall’adolescenza, siamo portate a nasconderlo, e questo si estende fino alle politiche dei social sul nudo e la pornografia, perché i social media si basano sulle culture di chi vi accede. A livello culturale, il nudo non è tollerato, e di conseguenza non lo tollerano neanche i social media. Non ti so dire di preciso che cosa spinga veramente le persone ad essere così, perché esista questo tabù così forte. Ce l’abbiamo tutte il seno. Tra l’altro non è soltanto un carattere sessuale, ricorda anche moltissimo la maternità, che viene considerata così pura dal cattolicesimo. Eppure, un carattere così importante della maternità come il seno viene censurato. Anche qui siamo pieni di contraddizioni. Probabilmente questo cambierà, con le nuove generazioni qualcosa sta già succedendo.
“Sensualità” (o erotismo) e “maternità” pensi siano due cose che debbano stare distinte, o che possano andare di pari passo? Mi vengono in mente delle fotografie che ritraggono proprio donne incinte, anche di nudo.
Come dicevo prima, l’erotismo e la sensualità non le puoi censurare da una persona, se hai intenzione di rappresentare la persona nella sua interezza. Non c’è in realtà motivo di farlo. Io non accetterò mai quest’idea dell’erotismo come qualcosa di impuro, come qualcosa di cui vergognarsi, qualcosa da tenere chiuso in qualche cassetto, in qualche stanza. Fa parte di noi. Noi siamo esseri viventi così, e il fatto che una donna sia incinta o non lo sia non dovrebbe cambiare il modo di rappresentarla. Per esempio, io trovo assolutamente odiose quelle immagini delle donne incinte con le ali da angelo, l’aureola, tutto questo bianco, tutta questa purezza attorno... come se la loro condizione le rendesse pure, e fino a nove mesi prima non lo fossero! Se vuoi elevare la figura della donna, puoi farlo benissimo anche se la donna è sessualmente attiva e non incinta, o non sessualmente attiva, o incinta e basta. Credo che non bisognerebbe più scindere queste cose, anche perché per natura non sono scisse, una è conseguenza dell’altra!
In generale, quanto conta il background culturale sulla reazione del pubblico di fronte alla fotografia di nudo?
Il background culturale è tutto. Tutto quello che noi vediamo lo interpretiamo in base a quello che ci hanno insegnato, a quello che abbiamo visto fino al momento precedente. Nella mia esperienza, rispetto alla fotografia artistica di nudo trovo molta più apertura mentale all’estero piuttosto che in Italia. Siamo un po’ più bigotti, probabilmente... Ancora tanto radicati in concetti come il pudore, la purezza, la verginità e tutti questi concetti tossici che alle donne fanno solo male.
Per background culturale non parliamo solamente di livello di istruzione, giusto?
No, anche di religione, di ceto sociale.
“Religione” intesa anche come dimensione spirituale?
Sì, certo. Ma io credo che posare nudi non dovrebbe interferire con la propria dimensione spirituale. Anzi, io credo che l’essere e rappresentarsi nudi, non solo in senso “senza vestiti”, ma nudi anche a livello interiore – e la nudità fisica porta molto facilmente a una nudità anche mentale ed emotiva, perché ci sentiamo molto vulnerabili – ecco, credo che questa come esperienza di vita possa in realtà arricchire la propria spiritualità. Si ha un contatto maggiore con quello che sta intorno, con sé stessi anche. Anzi, conosco persone che sono molto connesse con la propria spiritualità e posano o fotografano il nudo. Io credo che l’esperienza di posare nudi sia in qualche modo esasperata da fuori. Si pensa che sia qualcosa di assolutamente estremo, ma non è estremo! Noi siamo nati nudi! Dovremmo tutti fare l’esperienza dell’espressione di sé nudi, perché noi siamo nudi, noi non siamo quello che ci mettiamo. Di conseguenza, pensare che posare nudi di per sé – non dico la pubblicazione, il lavoro, quelle sono altre cose – ma pensare che il posare nudi sia un’esperienza estrema è proprio un sintomo della malattia della nostra società. Noi siamo assolutamente spaventati dal nostro essere, non vogliamo vederlo, non vogliamo averci a che fare. Per me tutti dovrebbero prima o poi posare nudi. Poi entrano in gioco altre questioni: la pubblicazione è tutta un’altra cosa, che è a propria discrezione.
Religiosi o meno, ti capitano delle critiche, dei cosiddetti haters sui social?
Probabilmente sì, ma non li identifico. L’unica forma di haters che ho sono le segnalazioni delle mie foto. Io non pubblico più nudo sui social, perché non si può. Mi è capitato di pubblicare qualche cosa di censurato, e puntualmente mi viene segnalato. Ci deve essere qualcuno che, senza esporsi, cerca di buttare giù il mio lavoro e i miei sforzi. Questo è un argomento che a livello psicologico varrebbe la pena di approfondire, cioè la libertà di agire senza essere visti, senza essere riconosciuti, senza metterci la faccia. I social non tutelano affatto le persone che sono vittime di questo. Tutti ne sono soggetti, potenzialmente.
I moti persecutori dell’uomo sono sempre stati protetti da un qualche tipo di maschera, che più o meno è stata, nei secoli, quella del “capro espiatorio”. Oggi questa maschera ha una dimensione nuova, quella dei social. Noi esseri umani siamo davvero impacciati nel riconoscerle, e quella che delinei effettivamente è una frontiera nuova dell’odio, dell’aggressività che è molto difficile da ammettere.
È un’aggressività codarda. Soprattutto, è una aggressività protetta da vere e proprie istituzioni come sono le grandi aziende di social media, perché c’è tutta la questione della privacy. Comunque, sui social non pubblico solo immagini, non parlo soltanto di quello che è inerente alla fotografia; quando mi esprimo su altre tematiche, mi è capitato di essere attaccata. Questo perché si ha la tendenza di credere che una persona come me, una modella, qualcuno che lavora con le immagini, in realtà sia un’immagine, che non abbia altro da offrire se non la propria immagine. Quando apriamo la bocca molto spesso le persone si stupiscono.
Possiamo dire che l’uomo tema la sessualità femminile? Che ne sia in qualche modo angosciato?
Assolutamente sì. È a tutti gli effetti un’arma per noi donne, è uno strumento, e noi lo sappiamo usare molto bene. Solo che, in teoria, dovrebbe essere uno strumento per connettersi positivamente con l’uomo e con gli altri, invece è stato demonizzato, e di conseguenza viene anche censurato. Se penso al perché un uomo dovrebbe avere paura dell’erotismo della donna, mi viene da pensare al concetto di manipolazione. Però io non la vedo così: per me non è una questione di manipolazione. È un entrare in contatto con l’uomo. Io lo trovo assolutamente innocuo. Trovo che l’erotismo di tutti sia innocuo. È una cosa positiva, una cosa bella, è come dire che l’eloquenza sia un’arma: non è un’arma, è una virtù, una caratteristica, è qualcosa che aiuta a connettersi con gli altri.
Uno dei miti più antichi a nostra disposizione è quello di Lilith, in una delle prime versioni della Genesi. Millenni fa, prima che comparisse il cristianesimo, nella Genesi ebraica. C’erano varie versioni, la Genesi non era ancora considerato un testo sacro. Era semplicemente un poema epico, come lo poteva essere il Gilgamesh. Prima di Eva c’era un’altra donna, Lilith, che non era stata creata dall’uomo, ma era stata creata assieme all’uomo come sua prima compagna. Lilith, nell’accoppiarsi con Adamo, rifiutava la posizione del missionario a cui Adamo cercava di sottoporla. Fugge, si ribella a Dio perché l’aveva accoppiata a quest’uomo che non la rispettava, ed è diventata poi il prototipo degli spiriti notturni, delle streghe, dei vampiri. Da lì è nata, nell’immaginario classico e medievale, gran parte degli aspetti negativi delle nostre credenze. Non contento di Lilith, l’uomo ha chiesto a un’altra donna e Dio le ha fatto Eva, prendendola direttamente dalla costola di Adamo.
Non sapevo che venisse dal Libro della Genesi. Però conoscevo la storia di Lilith: viene spesso rappresentata nuda che viene avvolta da un serpente.
La parte di Lilith fu poi censurata dalla Genesi. Per questo noi non la vediamo, non ce la insegnano a catechismo. Lilith viene descritta nei primi frammenti della Genesi come “piena di sangue e saliva”. Già la Genesi era scritta dagli ebrei, quindi una società patriarcale, e veniva enfatizzato il fatto che fosse «piena di saliva», che è simbolico della spiritualità, «e di sangue», quindi anche una paura della corporeità femminile: il sangue fa pensare alla mestruazione. Questi due caratteri, il sangue e la saliva, sono associati al demoniaco. È molto in linea con quello che hai detto tu. Gli aspetti femminili dovrebbero essere comunicativi, e anche generativi, creativi. Una cosa molto bella, perché la saliva è un po’ l’amore, quella che ci si scambia durante il bacio. La mestruazione è collegata alla fertilità. Una donna che ha le mestruazioni è una donna fertile.
Il sangue è la vita. Una creatura che ha il sangue, dal punto di vista di un uomo, dovrebbe suggerire che è una creatura simile all’uomo, perché condivide con lui il sangue e la saliva. Si è perso questo passaggio: che, sì, Lilith è piena di saliva di sangue, ma anche l’uomo! Dovrebbero essere insieme in questo!
La psicologia analitica afferma che la donna sia più vicina alla dimensione emotiva-istintuale, e che per questo possa aiutare l’uomo a coltivare il proprio lato sensibile e affettivo. Sei d’accordo?
Sono d’accordo. Torniamo proprio a quello che dicevamo poco prima, che il sangue e la saliva li condividiamo con gli uomini. Noi siamo la stessa cosa, potenzialmente. Sì, abbiamo delle sfumature diverse, predisposizioni leggermente diverse, ma io credo che l’uomo e la donna siano molto simili. Le virtù di uno possono arricchire l’altro. Però non mi piace l’idea di analizzare la donna come qualcosa di funzionale all’uomo. Una donna che cos’è? A cosa serve in questo mondo? A livello biologico ha tutto molto senso. Ma noi siamo molto più di questo. Il nostro rapporto con la nostra emotività non può aiutare soltanto l’uomo: può aiutare anche altre donne, che magari non condividono con noi la stessa sensibilità. In generale, sì, probabilmente le donne sono più legate all’istinto e all’emotività, hanno un rapporto maggiore con queste caratteristiche della mente umana, ma non tutte le donne. Così come non tutti gli uomini fanno fatica ad entrare in contatto con queste parti di sé. Io credo che in generale l’uomo e la donna possano esistere anche a prescindere dall’una e dall’altro. Non che debba essere così, però è possibile che sia così. Non credo nella complementarietà dell’uomo e della donna. Assolutamente.
Che rapporto hai con le altre donne? Differisce in qualche modo dal rapporto con gli uomini, al di là della dimensione sessuale?
Sicuramente con una donna sono più portata ad aprirmi su tematiche che, in quanto donna, sono di per sé censurate in società. Mi sento più libera di aprirmi su argomenti come la sessualità, il rapporto con gli uomini, le mie paure. In generale nella mia testa c’è una sensazione di empatia maggiore. Però credo che sia un pregiudizio, un mio preconcetto. Non vorrei dire che ho rapporti troppo diversi con le donne rispetto agli uomini, perché ci sono donne che appena le vedo non vedo l’ora di salutarle. Ci sono donne che non mi trasmettono fiducia, e donne che me ne trasmettono molta. Stessa cosa vale anche per gli uomini. È una questione di carattere.
Cosa pensi della prostituzione?
Credo che la prostituzione sia un diritto umano, però credo anche che la prostituzione sia il prodotto di un concetto sbagliato del corpo. Il corpo non dovrebbe essere qualcosa che ha un valore monetario, per quanto mi riguarda: così come non ce l’ha l’anima, non ce l’ha la mente, non ce l’hanno le emozioni, non ce l’hanno le relazioni profonde, non dovrebbero averlo certo neanche le relazioni fisiche. Però, siccome la società è quella che abbiamo, io ritengo che la prostituzione sia un diritto. Ognuno può fare quello che ritiene più giusto fare con il proprio corpo, e visto e considerato che è un diritto, dovrebbe anche essere tutelato dall’alto. Dovrebbe essere legalizzato e tutelato. Io personalmente non giudico chi lo fa, però non lo farei con il mio corpo, sentirei di fargli un danno. Senza parlare di tutto quello che è ambito psicologico dell’avere rapporti sessuali con sconosciuti, e per soldi.
Faccio la voce di un possibile bigotto, che potrebbe dirti: «be’, anche tu ti fai pagare per il tuo corpo».
Questa è la cosa che più mi hanno detto. No, io non sto vendendo il mio corpo. Il mio corpo nessuno lo tocca. Sto vendendo l’immagine che sto dando del mio corpo, così come lo vendono tutti. Tutti vendiamo la nostra immagine, ogni volta che usciamo per la strada e ci facciamo vedere da qualcuno. Io non sto vendendo il mio corpo, perché l’integrità del mio corpo, e le scelte relative a chi può avere a che fare con il mio corpo, a chi può toccarlo, a chi può percepirlo, sono mie, e sono assolutamente inviolate. Così come il fatto che io mi esponga a livello di immagine non ha assolutamente a che fare con le mie relazioni interpersonali. Io sto facendo un lavoro, sto dando un servizio e il mio servizio è il mio modo di muovermi, è il mio modo di esprimermi, è la mia immagine.
Un’ultima domanda. Se io ti dico “strega”, cosa ti viene in mente?
Tutte le donne. Assolutamente ogni donna. Io penso di essere una strega. Se vogliamo prendere il concetto di strega medievale, io sono una strega. Mi piace tantissimo l’iconografia delle streghe, mi piace il concetto di attribuire a una donna poteri magici e sovrannaturali, perché è un po’ come l’esasperare il fatto che noi donne abbiamo un rapporto molto profondo con quello che ci circonda, e anche con noi stesse. C’è del mistero nella mente delle donne: io non ho le basi scientifiche per dirlo, ma sono sicura che la nostra mente sia molto complessa, e il modo con cui noi ci rapportiamo a livello sociale non è sempre facile da comprendere. Siamo piuttosto ambigue, e questo fa di noi delle streghe. Soprattutto se poi scegliamo di essere rivoluzionarie, di andare oltre le convenzioni, di essere ribelli. E poi è così facile essere ribelli in questa società: basta non mettersi il reggiseno! Allora, io sono una strega.